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Diritto della musica e musica nel diritto

A margine del webinar organizzato da INDAC dal titolo "Diritto della musica e musica nel diritto", presentiamo di seguito l'intervento dell'avvocato e pianista Antonio Di Pinto, componente INDAC Puglia e relatore del webinar. L'incontro, patrocinato dalla Camera Civile di Firenze, ha visto come ospite in studio la direttrice d'orchestra Gianna Fratta, il cui intervento è stato preceduto dai saluti di Carlo Poli, componente del Coordinamento scientifico INDAC, e da Fabio Perrone, della Delegazione INDAC Lombardia. L'evento è stato presentato da Rosa Colucci, nella doppia veste di Coordinatrice nazionale INDAC e di direttrice della testata "Avvocati", media partner dell'iniziativa. (qui il link per visualizzare il webinar: https://www.youtube.com/watch?v=xb3EdpOJ1-4&t=37s )


Il tema scelto per l’odierno incontro, ossia il nesso tra musica e diritto, di per sè molto suggestivo e affascinante, a prima vista potrebbe sembrare improprio, quasi dissonante, volendo impiegare una tipica espressione del linguaggio musicale per evidenziare la mancanza di armonia tra due o più note.

Nel nostro caso questa espressione va a significare una discordanza, un mancato presunto legame tra i due argomenti oggetto dell’odierno approfondimento.

Musica e diritto, infatti, potrebbero apparire quali due mondi alieni, molto lontani l’una dall’altro, separati da profonde differenze, culturali e concettuali.

La musica quale mondo dell’arte, delle idee creative, delle passioni, del ritmo e del movimento.


E’ il mondo che mette a nudo e che veicola i sentimenti e gli stati d’animo, dell’autore, dell’interprete e del pubblico.

Ma la musica è anche matematica, logica, razionalità, perfezione numerica (si pensi ad esempio alla musica di Johann Sebastian Bach ed al suo celebre “Clavicembalo ben temperato” o all’opera “L’arte della fuga”, in cui ogni nota deve essere posizionata e suonataesattamente là dove l’autore ha voluto scriverla.

Il diritto, invece, rappresenta nell’immaginario collettivo il mondo delle regole, delle prescrizioni e delle sanzioni.

Oggigiorno lo stesso studio della giurisprudenza viene sempre più visto solo come mero insegnamento di leggi, norme, più o meno coordinate tra loro, al più, come esame e analisi delle sentenze di merito o di legittimità, emesse dalle autorità giurisdizionali nazionali e comunitarie, che vengono interpretate per dirimere le concrete fattispecie oggetto di studio o di approfondimento.


Tutto ciò premesso, musica e diritto possono, o meglio devono dialogare l’una con l’altro sotto diversi profili, sotto diversi punti di contatto.

Come non leggere nel verbo poc’anzi utilizzato interpretare, un concetto così vicino al mondo della musica, dell’arte, della creatività?

Allora anche il diritto può essere creativo, ovviamente entro certi limiti, e non essere circoscritto solo ad un mero mondo di regole, leggi e prescrizioni.

E’ proprio così. Ma cerchiamo di capirne il motivo.

E’ opportuno evidenziare e ricordare a noi stessi che il diritto è innanzitutto cultura, come la musica è cultura.

Un mondo senza cultura sarebbe un mondo arido, senza futuro.

Come non ricordare a questo proposito le dure ma quanto mai opportune parole pronunciate dal Maestro Riccardo Muti nell’ultimo Concerto di Capodanno tenutosi a Vienna il primo gennaio scorso in una sala completamente deserta a causa dell’emergenza sanitaria, purtroppo ancora in corso.

Il Maestro diceva testualmente: “Abbiamo avuto un anno difficile, ma crediamo nel messaggio della musica.”“La musica è importante non perchè è intrattenimento, non è una questione di mestieri ma è una missione per trasmettere qualcosa che rende migliori le società”.


Alle parole del Maestro Muti aggiungo che la musica non è solo arte ma è un vero e proprio diritto democratico e in quanto tale merita maggior promozione, valorizzazione e tutela, non solo del diritto in sè, ma anche e soprattutto di tutto quel mondo composta dagli artisti, dagli operatori musicali e dall’enorme indotto esistente, oggi più che mai in uno stato di crisi senza precedenti.

Ritornando in argomento,ritengo di poter distinguere due grandi temi che legano Musica e Diritto tra loro e che potrebbero suscitare parecchi spunti di riflessioni: la “Musica nel Diritto” e il “Diritto della Musica”,riprendendo il titolo che è stato utilizzato per l’odierno webinar.

Musica nel Diritto: ossia le linee di contatto tra questi due mondi, che a volte sonosempre e solo paralleli, ma che altre volte si intersecano fra loro.

Come non pensare quindi, da una parte, all’interpretazione, musicale ma anche giuridica, e, dall’altra, agli argomenti giuridici trattati e narrati nel contesto dei lavori concepiti soprattutto per il teatro d’opera, ovviamente partendo dal testo dei libretti.

Diritto della Musica: più prosaicamente il diritto vivente che regola la materia, ossia le principali normative di settore:cito al riguardo ed in estrema sintesi:


- la Legge sul Diritto d’Autore (la L. 633/1941) che tutela autori ed editori, con riferimento ai diritti morali e patrimoniali legati alle opere creative o ai diritti connessi a favore dei produttori di fonogrammi e degli interpreti ed esecutori;

- la Riforma del Terzo Settore, il D. Lgs. 117/2017, che ha regolamentato ex novo il mondo dell’associazionismo, delle APS, delle Fondazioni culturali, ossia quel mondo, fatto da professionisti del settore ma anche da semplici appassionati, che nella maggior parte dei casi, promuove e valorizza con grandi sacrifici il mondo delle arti e quindi della musica. Tuttavia è bene evidenziare che a quattro anni dall’entrata in vigore del citato Decreto siamo ancora ben lontani dalla piena efficacia della Riforma, mancando ancora parecchi importanti passaggi burocratico-legislativi che si spera possano trovare una accelerazione nell’interesse di tutti i soggetti destinatari;


- il Codice dello Spettacolo, la L. delega 175/2017 che avrebbe dovuto riformare interamente la materia ma che, a causa della mancata adozione da parte del Governo dei decreti attuativi (entro il 27/12/2018), ha perso oggi ogni efficacia.L’iter parlamentare, ripartito nel gennaio del 2019,pare che sia nuovamente a buon punto per giungere a emanare una nuova legge delega che riordini interamente la materia e conferisca al settore, come si legge nei principi della medesima legge, un assetto normativo coerente, organico e conforme ai principi di semplificazione e di revisione delle norme che regolano il FUS - Fondo Unico per lo Spettacolo e soprattutto la ripartizione dei contributi ministeriali.

Mi preme sottolineare che questa non vuole essere una trattazione organica ed esauriente dei temi esaminati, soprattutto con riferimento alle normative vigenti nel settore musica che ho velocemente enunciato e cosa che richiederebbe una trattazione autonoma.

Facciamo però un passo indietro per approfondire il tema legato alla Musica nel Diritto per parlare, seppur sinteticamente, dell’interpretazione prima e degli argomenti giuridici trattati nella musica, specialmente operistica, in seguito.

Valenti giuristi come Marco Cossutta, Giovanni Iudica e Giorgio Resta hanno provato a comparare l’interpretazione giuridica con quella musicale, con esiti direi molto interessanti.

I citati studiosi hanno individuato alcuni punti di raffronto, pur insistendo su differenze e peculiarità proprie di ogni campo del sapere, specialmente umanistico, tra l’interpretazione della norma e della partitura musicale.

Linguaggio musicale e linguaggio giuridico sono entrambi connotati da imprecisione e vaghezza; senza interpretazione rimarrebbero entrambi cristallizzazioni fissate in una norma o in uno spartito.

Esistono, però, tra i due linguaggi, notevoli differenze.

L’antico brocardo latino recita “ignorantia legis non excusat”, la legge non ammette ignoranza.

Tutti devono conoscerla, essendo i destinatari delle norme e dei precetti ivi contenuti.

Il testo musicale, invece, si rivolge solo a chi sa decodificarlo, a chi dispone delle conoscenze necessarie per poterlo leggere, non è necessario che tutti debbano conoscerlo.

Il testo musicale, infatti, ha bisogno di un interprete e di uno strumento, per diventare musica; e successivamente di un pubblico che ascolti, ciascuno spettatore ovviamente con la propria sensibilità.

Il giurista, come il musicista, è l’intermediario tra il testo ed il pubblico, ma il musicista è ancor prima il creatore del suono; deve prima di tutto conoscere il testo e le sue potenzialità, e poi deve conoscere i segreti ed i limiti dello strumento con cui produrrà il suono (pensiamo ad esempio ai cantanti e all’uso della propria voce come strumento musicale o ai pianisti che, purtroppo, per evidenti problemi tecnico-logistici e di dimensioni, non possono portarsi con sé il proprio strumento per esibirsi).

Inoltre, per il giurista, come per il musicista, l’interpretazione letterale è spesso solo un primo atto di un processo ermeneutico.

Ormai oggi anche il linguaggio normativo si è impoverito, conseguenza è che il dato letterale spesso risulta insufficiente.

Una domanda, quindi, nasce spontanea: cosa è il “testo” per il giurista e cosa per l’interprete musicale?

Il giurista non ha che da trovare il testo, così come lo ha scritto il legislatore: si va alle fonti, il più delle volte si ricerca la Gazzetta Ufficiale (per la legislazione specialmente nazionale) o, per gli atti della legislazione regionale, nel BURP (il Bollettino regionale della Regione Puglia), in cui il testo normativo è stato pubblicato e dal quale decorre l’efficacia dei precetti in esso contenuti per i destinatari.

Per il musicista è ben più complesso rinvenire una partitura fedele all’originale.

Gli spartiti, infatti,sono spesso manipolati dai revisori che a volte non si limitano a trascrivere pedissequamente il manoscritto originale ma apportano modifiche anche assecondando il proprio gusto soggettivo.

Diciamo che le edizioni che risultano più fedeli agli originali sono le cosiddette Edizioni Urtext, ma anche per queste ci possono essere delle imprecisioni o delle indicazioni non del tutto coerenti con gli originali.

Quindi, il musicista che volesse rimanere completamente fedele al testo originario non avrebbe altra scelta se non quella di cercare ristampe il più possibile simili all’originale o ritrovare addirittura i manoscritti originali.

Si tratterebbe di una vera e propria avventura filologica, come ha giustamente detto più di uno studioso.

Esiste poi, nella musica come nel diritto, anche una interpretazione autentica.

Nel diritto, ciò avviene quando è lo stesso legislatore a dirimere un dubbio interpretativo, nella musica, ciò avviene quando l’autore interpreta la sua opera.

Ma ci sono dei casi in cui l’autore stesso potrebbe allontanarsi dal testo nella sua esecuzione o per improvvisazioni o perché non è tecnicamente all’altezza della sua stessa opera.

Chi ha avuto modo di ascoltare le pochissime incisioni giunte sino a noi di opere suonate da Ravel, cosa di cui purtroppo non ho esperienza diretta,ha affermato che l’autore era tecnicamente debole nella esecuzione delle sue stesse composizioni.

Quindi, l’interpretazione autentica non ha nella musica lo stesso peso che ha invece nel diritto.

Invece, sia nel diritto che nella musica, l’interprete a volte si trova a dover ricorrere ad elementi extratestuali.

Il giurista, di fronte a problemi di natura ermeneutica, potrebbe dover ricorrere alle interpretazioni della norma date dalla dottrina o dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità.

Il musicista, invece, potrebbe trovare ausilio nella tradizione interpretativa data solitamente dalle partiture o dalle incisioni su disco effettuate da alunni del compositore o addirittura da alunni di alunni, soprattutto quando si va molto a ritroso nel tempo e non ci sono incisioni dirette dell’autore di una data opera musicale.

Si pensi,per fare un esempio, alle edizioni delle opere di Chopin scritte partendo dalle indicazioni del Maestro polacco sui manoscritti, ma anche basandosi sulle incisioni su disco registrate da suoi diretti discepoli.

In questa rapida analisi sull’interpretazione nella musica e nel diritto, una ultima considerazione va fatta sulla libertà dell’interprete.

La libertà del giurista è molto limitata da regole interpretative fissate dalle stesse leggi (si pensi all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, cosiddette Preleggi al codice civile o all’art. 1 del codice penale che incardina il principio della tassatività delle fattispecie).

E’ necessario che sia così.

La libertà dell’esecutore in musica, invece, è una questione molto più articolata.

Per sintetizzare è possibile dire che in ogni epoca storica c’è stata più o meno libertà dell’interprete nella esecuzione delle opere musicali.

In epoca barocca le partiture non presentavano molte indicazioni per gli esecutori semplicemente perché, in genere, erano suonate solo dal medesimo compositore. Successivamente le indicazioni sulle partiture sono state sempre più utilizzate dai compositori anche per limitare la libertà di esecuzione e di interpretazione da parte di chi l’avrebbe eseguita.

Stravinskji, ad esempio, pare fosse ossessionato dall’idea di cancellare ogni libertà dell’esecutore e le sue opere sono piene zeppe di segni ed indicazioni.

Nel diritto quanto appena detto sarebbe impensabile.

Vero è che l’interpretazione giuridica è anche una operazione creativa, ma è pur sempre soggetta a delle limitazioni maggiori rispetto alla musica: un provvedimento pronunciato con troppa libertà da un magistrato, potrebbe portare al suo annullamento o alla sua impugnazione, se non ancorato ai principi del diritto!

Dobbiamo infatti ricordare che il musicista è un artista che aggiunge quasi sempre qualcosa di suo ad una partitura, anche solo dal punto di vista emozionale; il giurista, invece, deve comunque attenersi sempre ai testi di legge, lasciando che siano loro a parlare, evitando pertanto, di darne una interpretazione troppo libera.

In conclusione, possiamo affermare che, pur nella diversità soprattutto concettuale, tra interpretazione musicale e giuridica, ci sono punti di contatto tra i due mondi della musica e del diritto, a volte più evidenti, altre volte più evanescenti.

Da una parte è presente chi crea il diritto, chi lo interpreta ed i destinatari delle norme, dall’altra rinveniamo il compositore, l’esecutore/interprete ed il pubblico.

Ecco che gli attori principali della musica e del diritto diventano punto di contatto evidente tra questi due mondi apparentemente distanti!

Passiamo ora ad alcune considerazioni sugli argomenti giuridici trattati nelle opere musicali,o meglio, nelle opere liriche, partendo ovviamente dai testi dei libretti d’opera.

In essi, infatti, i temi della giustizia, dei diritti, delle pene, della risoluzione dei conflitti tra gli uomini e le donne, del diritto pubblico, ricorrono costantemente insieme ad altre rappresentazioni del diritto.

Caso per caso, opera per opera, il testo del libretto mette in evidenza il periodo storico, gli argomenti giuridici preminenti e soprattutto le normative vigenti all’epoca in cui l’opera stessa viene ambientata.

Ad esempio, mentre nel tardo settecento emergono tematiche inerenti soprattutto il diritto di famiglia (matrimoni, fidanzamenti, testamenti e successioni ereditarie), nell’ottocento diventano preminenti temi che riflettono la progressiva trasformazione del tessuto sociale, la secolarizzazione dei rapporti e dei costumi, lo sviluppo urbano ed il denaro.

E’ corretto dire, infatti, che ascoltando l’opera è possibile assistere a vere e proprie lezioni di diritto privato!

Ovviamente del diritto vigente relativo al periodo storico in cui è ambientata l’opera.

Filippo Annunziata, Professore di diritto dei mercati finanziari nell’Università Bocconi di Milano e docente di musicologia alla Facoltà di Lettere della Statale di Milano ha giustamente scritto nel suo libro “Prendi, l’anel ti dono” che “…matrimoni, testamenti, transazioni economiche, contratti fanno parte della vita quotidiana e quindi trovano posto persino nel teatro musicale che riflette le strutture sociali del proprio tempo”.

Alcuni esempi possono essere di sicuro ausilio per comprendere quanto appena indicato ed anche per rendere più interessante il tema trattato.

Nell’opera “Lasonnambula” di Vincenzo Bellini si fa riferimento alla donazione dell’anello di fidanzamento da parte di Elvino ad Amina quale perfezionamento del contratto di matrimonio.

Ma quando sospetta della sua infedeltà – in realtà si trattava di sonnambulismo – Elvino si riprende il gioiello.

Lo poteva fare secondo il diritto?

Ebbene, la regola generale prevede la irrevocabilità delle donazioni ma con delle eccezioni fra le quali, appunto, le donazioni tra fidanzati e quelle relative al matrimonio se le nozze non vengono celebrate, se quindi il contratto matrimoniale non si perfeziona.

Ai sensi dell’art. 80 codice civile, infatti, è possibile richiedere la restituzione di oggetti donati a promessa di un matrimonio quando la celebrazione non avviene, quando il rapporto giuridico non viene perfezionato,ed è previsto il termine di un anno per avviare la relativa azione di restituzione.

Ancora: nel “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini l’argomento giuridico trattato riguarda il testamento falso.

Un testamento falso è impugnabile e ci possono essere risvolti sia in sede civile, vedasi l’applicazione dell’art. 606 del codice civile, che in sede penale con l’art. 491 del codice penale.

Nell’opera lirica, il personaggio Gianni Schicchi viene chiamato dai parenti del defunto Buoso Donati per fingersi proprio nel Donati e cambiare il testamento.

Nella vicenda musicata da Puccini addirittura ci sarebbe la possibilità di agire anche contro il notaio per il risarcimento del danno con un’azione di responsabilità professionale vista la negligenza tenuta nell’accertare l’esatta identità del testatore (anche se dubito che il professionista all’epoca fosse assicurato per la responsabilità professionale come accade oggi).

Termino gli esempi con Giuseppe Verdi il compositore più conosciuto del melodramma italiano.

Anche nelle sue opere, sempre partendo dai libretti, ci si rende subito conto dell’esistenza di riflessioni ma anche di aspre critiche sugli istituti giuridici e sociali a lui coevi: si pensi al tema della paternità, sviscerato a 360 gradi ed in diverse opere, ma soprattutto alle questioni di diritto pubblico a lui contemporanee come il turbolento rapporto tra Stato e Chiesa.

Non dimentichiamoci che siamo a cavallo degli anni in cui veniva unificata l’Italia,il 1861.

Il caso emblematico, e concludo, lo si rinviene nel Don Carlo e, nello specifico, nella frase “Dunque il trono piegar / dovrà sempre all’altar” pronunciata da Filippo II di Spagna al termine di un dialogo con il Grande Inquisitore.

Queste parole suonano infatti come una accusa senza appello alla Chiesa Cattolica in un momento storico in cui la questione romana assumeva una piega irreversibile con la caduta dello Stato Pontificio ed il definitivo spostamento della capitale del Regno d’Italia a Roma.

Gli esempi potrebbero essere tanti altri ma spero che gli argomenti trattati, se ritenuti di interesse, possano spingere gli odierni partecipanti ad avere la curiosità di ricercarne altri nell’individuale ascolto delle tantissime opere del nostro melodramma, sperando che le esibizioni tornino presto ad essere rese dal vivo e con la partecipazione del pubblico.

La musica e l’arte in genere creano emozioni ed empatia solo con la partecipazione dal vivo, solo con il rapporto diretto tra artista (o artisti) e pubblico.

Antonio Di Pinto

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